Suore di Santa Marta
Istituto Santa Marta
Vighizzolo di cantù (COMO)
Le Suore di Santa Marta sono un istituto religioso femminile di diritto pontificio.
La congregazione venne fondata a Ventimiglia il 15 ottobre 1878 dal vescovo Tommaso Reggio (1818-1901).
Le Suore di Santa Marta si dedicano all’istruzione e all’educazione cristiana della gioventù in scuole primarie, secondarie e superiori e ad altre opere di assistenza (ad anziani, malati, rifugiati).
Oltre che in Italia, sono presenti nelle Americhe (Argentina, Brasile, Cile, Messico) e in Asia (India, Libano); la sede generalizia è in via Virginio Orsini a Roma.
La comunità religiosa insieme a quella laica, gli insegnanti, il personale di assistenza e di amministrazione, svolge innanzi tutto una funzione educativa.
La scuola Santa Marta, infatti, è inserita in un contesto comunitario costituito dalle diverse realtà che la circondano.
E’ comunità nella comunità e non intende estraniarsi da tale contesto, ritiene anzi che questo sia un’importante risorsa per la realizzazione del Progetto Educativo.
Il carisma al servizio dell'educazione
Il Servizio educativo delle Suore di S. Marta trova nella scuola uno dei campi più importanti di apostolato per la promozione umana e cristiana della persone e della società.
In linea con la specificità del nostro carisma, tale servizio si esprime essenzialmente nella ”pedagogia dell’accoglienza”.
Ispirandosi al modello evangelico della casa di Betania, il Padre Fondatore ci ha detto:
“siate tutte buone Marte, come quella che Gesù prediligeva”.
L’accoglienza è il clima che caratterizza l’ambiente e anima il progetto delle nostre scuole, come luoghi di formazione umana e cristiana dove si opera nel comune intento di far vivere ad ogni persona l’esperienza di essere accolta per imparare ad accogliere.
Le scuole delle Suore di S. Marta sono “Betania” aperte a tutti, luoghi di accoglienza secondo una precisa proposta educativa tendente a favorire la crescita di ogni soggetto di educazione in pienezza di umanità, attraverso la cultura. Per questo, una particolare attenzione educativa è riservata nelle nostre scuole ai soggetti in difficoltà, anche per problemi eccedenti le naturali competenze e capacità della scuola: ad essi, la cui crescita personale, sociale, culturale e spirituale può apparire ostacolata e compromessa, vanno dedicate senza riserve le energie disponibili.
Il nostro “accogliere per educare”, radicato nel mandato evangelico dell’amore e alimentato dalla fedeltà al carisma, vuole tradursi in un impegno dinamico mirato a realizzare una scuola che sviluppi tutte le dimensioni costitutive della persona, ne favorisca l’inserimento consapevole nel contesto sociale e ne maturi le capacità di comprensione e di libera adesione ai valori cristiani, come risposte di significato ai perché della vita.
L'Istituto è un luogo di formazione umana e cristiana dove si opera nel comune intento di far vivere ad ogni persona l'esperienza di essere accolta per imparare ad accogliere.
Beato Tommaso Reggio
Da ricco che era, davvero si fece povero per amore e custodì il suo gregge con una delicata amorevole attenzione… Oggi le sue Suore cercano di seminare nel mondo accogliendo ogni uomo. memori che “servire è delle mani, accogliere è del cuore”.
Di lui diremo subito che fu Vescovo coraggioso e appassionato in una Liguria travagliata da vicissitudini sociali e politiche complesse. Nobile di origini era nato a Genova il 9 gennaio 1818 dal marchese Reggio e da Angela Pareto. Dopo un’infanzia agiata e nutrita di una solida educazione cristiana e culturale, Tommaso aveva davanti a sé una carriera brillante e sicura, ma a vent’anni decide di farsi sacerdote e di voltare le spalle a tutto questo. Vocazione adulta, la sua, perché allora in Seminario si entrava giovanissimi. “Voglio farmi santo ad ogni costo impostando la mia vita su due cardini sicuri: la preghiera e l’ascesi” dirà Tommaso nel momento in cui la sua scelta diventa definitiva: sarà consacrato sacerdote il 18 settembre 1841.
Nel 1843, a soli 25 anni, è già vicerettore del seminario di Genova e successivamente rettore di quello di Chiavari negli anni ‘politicamente caldi’ della metà ‘800. L’impostazione nuova che dà al seminario risulta sbalorditiva: vuole che i giovani, i futuri sacerdoti, siano liberi, capaci di scelte coraggiose, pronti a mettere in gioco la loro vita senza esitazione per Dio e per la Chiesa.
Proprio mentre dirige il seminario, egli è tra i confondatori di un giornale, il primo quotidiano cattolico italiano: quello che diventerà lo Stendardo Cattolico. Giornalista che va oltre la cronaca fine a se stessa, Tommaso Reggio si preoccupa di far passare un’informazione che consenta una lettura lucida, schietta, disincantata del vissuto storico; la difesa della fede e dei principi autentici del Cristianesimo, nel suo giornale, non vanno mai a scapito della verità e della libertà. Nel 1865 lo Stendardo Cattolico guiderà la campagna elettorale trascinando con sé 25 giornali che si faranno promotori di liste cattoliche e “sogneranno” la nascita di un partito cattolico. Ma la proposta è troppo audace… e quando nel 1874 il ‘non expedit’ suonerà chiaro e i cattolici verranno invitati a non votare, Tommaso Reggio “intuisce” che il suo giornale non potrà continuare. Lo chiuderà e lo farà senza un lamento, preoccupato solo di essere in sintonia con il Papa e con la Chiesa. Non una recriminazione, non una critica: solo quando gli verrà chiesto, esporrà con chiarezza il suo pensiero alla Santa Sede.
Nel 1877 viene consacrato vescovo di Ventimiglia, diocesi poverissima che egli attraverserà per intero più volte anche a dorso di mulo. Sarà pastore lungimirante e appassionato del gregge: “Signore, eccomi, sono qui per compiere il tuo volere. Voglio portarti molte anime”. Così aveva pregato ricevendo l’incarico. Sentire ‘il polso’ della sua diocesi, esplorarne il vissuto anche nei paesini dispersi, regalare a questa terra di contadini e di montanari la Parola che sola salva, è il suo obiettivo principale.
Tre i Sinodi che convoca in 15 anni! La diocesi, durante il suo episcopato, attua un progetto di ristrutturazione che è frutto di una intraprendenza intelligente ma anche di una raffinata capacità di penetrazione e di analisi dei problemi. Si aprono nuove parrocchie, rivive la liturgia, con essa è curato e valorizzato il canto, si pensa a mantenere in vita il patrimonio artistico delle Chiese e si impostano piani di formazione adatti ad ogni fascia della popolazione.
Il Vescovo nel 1878 fonda una Congregazione religiosa che ha come scopo quello di “rispondere alle necessità di ogni tempo”. Saranno Suore di S. Marta, le ‘sue’ Suore, quelle a cui darà il compito di “volare in favore dell’indigenza”. Esse dovranno accogliere “i più poveri tra i poveri”… sì, accogliere come Marta che “ebbe la ventura di servire Gesù con l’umile lavoro delle sue mani”: dovranno accogliere e servire perché ogni gesto prima che dalle mani deve passare dal cuore. Il Vescovo conosce già alcune famiglie religiose di cui è Padre Spirituale, ma quando è l’ora di decidere dirà: “Me le formerà io le mie Suore”. E sarà così. Esse impareranno da Lui ad adorare in silenzio, ad alimentarsi senza sosta di preghiera, a ritrovare ‘in ginocchio’ le ragioni di una fede che fa intravedere il Cristo nei piccoli e in tutti quelli nei quali lui si identifica.
Quando nel 1887 un terremoto sconvolge la Liguria occidentale, il posto del Vescovo, nonostante la tarda età, è subito là tra le macerie. Non aspetta i soccorsi, li porta. Non si limita a benedire e a consolare, convoca i Parroci e chiede che si provveda a una verifica puntuale e rigorosa della tragicità della situazione, Parrocchia per Parrocchia. I soccorsi, raccolti anche tra i lettori dei vari giornali ‘amici’, saranno distribuiti in maniera oculata. Non elemosina soltanto, quindi, ma una intelligente amorosa attenzione che si doveva snodare nel tempo. La sua tonaca rattoppata e l’orologio legato, con un pezzo di corda, testimoniano che davvero il Vescovo da ricco che era si era fatto ”povero” per la sua gente. Le orfane e gli orfani che il terremoto ha moltiplicato diventano la sua prima preoccupazione. Alcune vengono collocate in istituti già esistenti, altre trovano posto tra le Suore di S. Marta che si ‘stringono’ per dare spazio a loro. Fonderà l’orfanotrofio in Ventimiglia e le sue Suore dovranno occuparsi di loro ma Lui, il Vescovo, sarà sempre presente. Per gli orfani in San Remo sorgerà la Casa della Misericordia; istruiti e avviati a una vita autonoma, essi troveranno presso gli artigiani la possibilità di imparare un lavoro e guadagnare qualcosa che verrà in parte messo via per quando dovranno ‘da soli’ affrontare l’esistenza. L’organizzazione di questa struttura sottolinea ancora una volta l’attenzione intelligente e amorosa del vescovo per ciascuno e per tutti.
Nel 1892 scrive al Papa: “Prego Vostra Santità di sollevarmi dal mio incarico di vescovo e di tornare ad essere un semplice sacerdote. Temo, Santo Padre, che diventando lento per l’età il Vescovo, tutta la diocesi si addormenti. Chiedo di essere dimesso in pace come un servo fedele, e di affidare ad altri un compito tanto grave”. La risposta del Santo Padre è sorprendente: nel maggio del 1892 lo nomina Arcivescovo di Genova. Ha 74 anni e il nuovo compito è tutt’altro che facile per la situazione interna complessa della città di Genova: le autorità civili sono ostili e ogni manifestazione religiosa e culturale, promossa dai cattolici, spesso degenera in discordie e tensioni. Il nuovo Arcivescovo non ignora tutto questo e accetta umilmente l’incarico, sicuro di fare la volontà di Dio. Ben presto alle sterili lotte e alle polemiche si sostituiscono i dibattiti tra ideologie diverse intorno ai problemi che, da tempo, assillavano Genova. L’ascendente dell’Arcivescovo è tanto significativo che, in breve tempo, in Genova cattolici e laici sottopongono ogni iniziativa a lui, come si fa con un padre buono e intelligente. Nasce l’associazione per gli emigranti che numerosi si affollano, senza documenti e senza futuro, al porto di Genova. In collaborazione con i Vescovi Scalabrini e Bonomelli si crea una rete di assistenza capillare che consente di conoscere chi parte e di fornire i documenti a ciascuno, in modo da impedire i tentativi di sfruttamento di cui sono oggetto, ieri come oggi, i clandestini. Viene dato nuovo impulso alle società operaie cattoliche, alle cooperative agricole, alle società di assicurazione; anche la richiesta per il riposo festivo e la riduzione dell’orario di lavoro per gli operai trova risposte positive, grazie all’autorevole appoggio del Vescovo, che si è guadagnato in fretta anche la stima degli avversari.
Dove trovava Tommaso Reggio tutto questo equilibrio e questa pace che diffondeva? Ogni notte, dalle tre alle sei egli pregava. Disinvolto e gioviale sempre, non ostentava mai la sua vita da penitente, ma è certo che egli trovava le sue energie lì davanti al Cristo. Fu uomo adorante e cristocentrico, conosceva l’arte del dissimulare: dissimulava le fatiche e celava dietro ad un atteggiamento affabile e non privo di humor, sofferenze anche morali che non gli sono mancate. Una fede granitica, ancorata ad umiltà disinvolta, sostenne la sua esistenza: “Non perdiamoci d’animo noi pigmei, dobbiamo tener d’occhio le orme di quei giganti che ci hanno preceduto e cercare di calcare i solchi”. Si sentiva ‘piccolo agli occhi di Dio!’ E mai pago della sua dedizione a Lui, si consumò per la sua gente.
Quando nel 1900 l’Italia cattolica decide di consacrare a Dio e alla Madonna il nuovo secolo, l’Arcivescovo invita tutti i Vescovi liguri a Ventimiglia per un grande pellegrinaggio sul monte Saccarello, dove verrà innalzata la statua del Redentore. Anch’egli parte da Genova su un vagone di terza classe, con alcuni sacerdoti, verso Triora, un paesino ai piedi del monte. Il desiderio di salire è forte, ma un malessere glielo impedisce. È l’inizio di una malattia che lo porterà alla fine. Triora diviene la meta di sacerdoti e di laici di ogni tendenza; con tutti egli è lucido, sereno, accogliente. Morirà il pomeriggio del 22 novembre 1901 rispondendo a chi gli chiedeva se desiderasse qualcosa: “Dio, Dio, Dio solo mi basta”. Avrebbe voluto essere sepolto nel piccolo cimitero di Triora “nell’angolo dei poveri”, ma Genova reclamava il ritorno del suo Arcivescovo per le dovute onoranze funebri. Tommaso Reggio visse le virtù in modo eroico e riuscì con la sua vita infaticabile, a far brillare nei poveri la luce di Dio. TOMMASO REGGIO: una storia … da imitare Tommaso Reggio visse in un periodo (1818-1901) che vide grandi sconvolgimenti storici, politici, sociali. 1796-1 814 Napoleone diffuse col suo esercito, in tutta Europa e in particolare in Italia, gli ideali di libertà e uguaglianza, maturati durante la rivoluzione francese. 1815-1 830 Restaurazione – Dopo la sconfitta di Napoleone i sovrani europei ripristinarono l’assolutismo nei singoli stati, suddivisero l’Europa soffocando gli ideali di libertà, indipendenza politica, nazionalità. Genova, che prima dell’età napoleonica era una libera repubblica, col Congresso di Vienna venne annessa al Regno di Sardegna che comprendeva: Piemonte, Valdaosta, Sardegna, i territori della Savoia e, dopo il 1815, anche la Liguria. 1830-1861 Risorgimento – I patrioti si rifiutarono di accettare la nuova situazione e, in forme diverse, lottarono per l’indipendenza e l’unificazione d’Italia. La Liguria accolse molti liberali cacciati dagli altri paesi e assunse un ruolo di primo piano. 1848 – In Italia e in molti paesi europei si verificò un’ondata rivoluzionaria che coinvolse il popolo. I protagonisti del Risorgimento Mazzini: genovese, democratico; secondo lui Dio affida al popolo il compito di unificare l’Italia con l’insurrezione armata. Attraverso l’associazione “Giovane Italia” suscitò tra la borghesia e gli intellettuali gli ideali patriottici e l’impegno di lottare per creare una Italia unita e repubblicana. Non riuscì a realizzare pienamente i suoi obiettivi perché il popolo italiano era oppresso da problemi gravi quali la fame, la malattia, l’analfabetismo… e non poteva accogliere proposte che sentiva lontane. Gioberti: sacerdote, moderato; propose ai re degli stati italiani di riunirsi in federazione scegliendo come presidente il Papa. La sua teoria ebbe un grande successo negli anni fra il 1846 e il 1849 quando sembrava che il nuovo Papa Pio IX fosse la persona adatta per questo compito. Pio IX: Papa dal 1846 al 1878. Inizialmente fu accettato da tutti come Papa liberale e in suo nome molti patrioti, nel 1848, pretesero e ottennero dai sovrani la Costituzione e la libertà di stampa. Nel 1848 ritirò le sue truppe dalla I guerra di Indipendenza e cominciò ad assumere un atteggiamento più rigido nei confronti del Regno d’ Italia. Garibaldi: eroe popolare che aveva combattuto anche per la libertà dell’America Latina, anticlericale, organizzò in più riprese i volontari e combattè a fianco dell’esercito regolare vincendo molte battaglie. Nel 1861 con la Spedizione dei Mille rese possibile l’annessione del Sud all’Italia. Nel 1862 e nel 1867 tentò la conquista di Roma senza riuscirvi Cavour: primo ministro del Regno di Sardegna fra gli anni 1849-186 1, moderato, dopo il 1848 guidò il movimento dei patrioti con un’ associazione, la Società Nazionale, in antagonismo con i Mazziniani. Organizzò in senso moderno il Regno di Sardegna e promulgò leggi contro la Chiesa fino a chiudere i conventi non utili alla società e a incamerarne i beni. Prese una serie di iniziative diplomatiche e militari attraverso le quali riuscì a togliere all’Austria il Lombardo-Veneto e a unificare l’Italia nel 1861. In tale contesto così complesso Tommaso Reggio dimostrò sempre grande capacità di valutare con saggezza le situazioni reali e di prendere provvedimenti efficaci. Ciò fu evidente già durante i moti rivoluzionari del 1848. In tutta l’Europa, compresa l’Italia e la Liguria, scoppiarono rivolte popolari per ottenere giustizia sociale e libertà. In Liguria il fermento durò circa un mese. Nel seminario di Genova fu ospitato il Gioberti; i seminaristi parteciparono con entusiasmo alle manifestazioni del popolo, ma in pochi fecero ritorno in Seminario e il rettore, Gaetano Alimonda, amico del Reggio, fu costretto a dimettersi. Il Rettore di Chiavari, don Tommaso Reggio, prevedendo il pericolo mandò a casa i seminaristi i quali, terminata la bufera, tornarono in seminano quasi al completo. Pochi mesi dopo alcuni soldati dell’esercito regio furono accampati proprio nel seminario, ma il rettore prese delle iniziative che riuscirono a tutelare i seminaristi e anche questa esperienza si concluse senza danni. Come giornalista giocò un ruolo di primo piano per ben 26 anni. Verso la metà del secolo scorso, nelle grandi città industrializzate, i mezzi di trasporto e di comunicazione, con particolare riferimento alla stampa, conobbero un grande sviluppo. Anche se le persone in grado di leggere non erano molte, l’espansione dei giornali fu continua, favorendo gradualmente la formazione di una opinione pubblica che voleva essere sempre più informata sui maggiori avvenimenti sociali, politici, economici. Nel 1848, all’indomani della proclamazione della libertà di stampa, un gruppo di cattolici, sia a Genova che a Torino, si organizzò per la fondazione di un quotidiano con l’obiettivo di: annunciare il Vangelo utilizzando uno strumento moderno che potesse raggiungere molte persone contemporaneamente; presentare idee e fatti della realtà quotidiana secondo un’ ottica cristiana, contrapponendosi alla stampa anticlericale; difendere pubblicamente i diritti della Chiesa di fronte alla legislazione dello Stato. Il quotidiano che doveva nascere a Genova mette bene a fuoco gli obiettivi che i redattori, fra cui don Reggio, si proponevano: riuscire a dialogare con l’uomo contemporaneo che fischiava di essere in balia di ideologie contrarie al messaggio evangelico. A causa delle gravi difficoltà organizzative, nel 1848, il gruppo genovese decise di affidare soldi, titolo, idee al gruppo torinese perché preferivano che il primo quotidiano cattolico italiano si affermasse nella capitale d’Italia che allora era Torino. L’anno successivo il medesimo gruppo genovese pubblicò un nuovo quotidiano Il Cattolico di Genova; poiché i testi non erano firmati per timore della censura, non è possibile individuare gli articoli scritti da don Reggio; è tuttavia significativo il fatto che nel 1851, quando don Reggio è nominato abate di Santa Maria Assunta in Carignano, il giornale abbrevi il titolo diventando Il Cattolico, assuma così un’ impronta meno provinciale, presenti un’impaginazione più chiara ed elegante e, nella testata, venga aggiunta una scritta che testimonia la fedeltà della redazione alla Chiesa e al Papa. Le 78 lettere scritte dal Reggio a Cesare Cantù, uno dei due cattolici deputati al Parlamento Italiano, consentono di conoscere l’attività che gravita attorno al giornale che nel ’61 assume la denominazione di lo Stendardo Cattolico. Sappiamo così con certezza che dall’inizio degli anni sessanta fino alla morte del giornale, nel 1874, il Reggio assunse un ruolo fondamentale nella redazione che sosteneva economicamente quasi da solo, per avere maggiore libertà di azione. Uno degli obiettivi del giornale era infatti quello di portare i cattolici in Parlamento attraverso la partecipazione attiva alle elezioni: alla formula “né eletti né elettori” sostituiva quella di ”eletti ed elettori”. Ma … la realtà complessa del momento non consentì la realizzazione di questo “sogno”! Anche noi possiamo seguire le sue “orme per diventare protagonisti del nostro tempo e quindi capaci di servire l’uomo per amore attraverso uno studio profondo (non è necessario essere giornalista!) che ci consenta di “leggere” la vita che si snoda sotto i nostri occhi e di riempire d’amore il piccolo spazio che ci spetta. Tommaso Reggio aveva due grandi amori nel cuore: – Dio – l’uomo due testi sempre sotto gli occhi. – la Bibbia – il giornale due passioni incontenibili: – far fiorire la vita di chi ci vive accanto – cercare sempre ciò che unisce, non ciò che divide due grandi certezze: – la storia oggi “nasconde” e “svela” le orme del Cristo Risorto – la Chiesa è custode e guida alla verità… sempre. Per la riflessione personale e/o di gruppo – Ti piace l’idea di servizio di Tommaso Reggio, quella che è intesa come “capacità di guardare dentro alla vita” che si snoda sotto i tuoi occhi per coglierne la complessità e il senso nascosto? – Tommaso Reggio diceva che “non c’è cultura se non quella che pone al centro l’uomo… ogni uomo”. E tu come ti poni di fronte a “ogni uomo”? – Quando, secondo te, un giornale “legge” in chiave cristiana la realtà? Traccia l’identikit di un giornale così. Oggi, come ieri, si sente il bisogno di uomini preparati, limpidi, dediti al bene comune, che pongano freno alla corruzione che tenta di invadere ogni fibra del tessuto pubblico. Tutti sappiamo ormai che non abbiamo bisogno soltanto di tecnici preparati a “fornire i ti-medi” ad ogni male, ma di costruttori di vita sociale, capaci di far emergere quelle energie positive nascoste anche negli uomini più deboli per fonderle in armonia e costruire una società a misura d’uomo. Tommaso Reggio fu uno di questi. Un suo obiettivo fu, infatti, quello di colpire alla radice la più grande delle povertà: la mancanza di cultura. Secondo il Reggio un popolo che non ha leggi adeguate a farlo crescere, che non ha un sistema legislativo che lo difenda e che promuova la formazione di ogni persona, è un popolo povero. Egli quindi fu vescovo di profonda cultura e di forte spiritualità: nella sua diocesi e in ogni situazione “si fece ricercatore di una legge” che consentisse all’uomo di vivere in solidarietà con gli altri e garantisse il buon esito di ogni opera. Coraggiosamente pronto a parare i colpi da qualsiasi parte venissero, nel 1893 si oppose energicamente al progetto di due leggi in ordine al Matrimonio: la precedenza obbligatoria dell’atto civile sul matrimonio religioso già presentata in Parlamento e l’introduzione del divorzio, legge in preparazione. La sua competenza in fatto di legislazione ecclesiastica e civile gli conferì notevole prestigio presso molti uomini politici ai quali egli si rivolse perché le due leggi non venissero approvate. Tommaso Reggio istituì una Scuola di perfezionamento religioso per lo studio dell’Economia politica, delle Istituzioni di Diritto commerciale, delle Scienze giuridiche, del Diritto canonico, pubblico ed ecclesiastico, ma anche di quello romano, costituzionale, anuninistrativo e penale senza trascurare il Diritto internazionale, pubblico e privato. Al corso di quattro anni, Mons. Reggio intendeva di aggiungere poi una sezione per l’insegnamento completo del ramo Economico Sociale. Domandò alla Santa Sede il permesso di attuare questo suo vasto, quanto mai moderno, disegno: conseguì piena approvazione dalla Sacra Congregazione degli Studi il 14 settembre 1897 con facoltà di conferire gradi accademici come le Università e la Scuola Superiore fu eretta come Pontificia Facoltà Giuridica. Mons. Reggio fu il primo in Italia a coordinare lo studio del Diritto ecclesiastico e civile in rapporto al clero. Leggendo attentamente la vita di Tommaso Reggio, percorrendo gli atti del suo lungo e travagliato governo, esaminando le molte iniziative della sua attività pastorale, si resta meravigliati al delinearsi naturale della sua figura di legislatore. Era certamente un dono, perfezionato dalla sua vita ascetica. Tommaso Reggio, nel suo lavoro incessante di governo, interviene con provvedimenti specifici ed opportuni, richiesti da casi urgenti o isolati, e vede sempre l’origine lontana di un male, di un disordine; intuisce subito il procedimento basilare per una costruzione e mette mano all’opera. Noi troviamo pertanto una serie ben lunga di ordinamenti che vanno al di là del bisogno del momento, e mettono le fondamenta di una vita nuova. Egli si trovò a vivere e ad essere capo in un tempo dove le necessità più grandi urgevano in ogni senso, non per colpa dei suoi predecessori, ma degli eventi che maturavano, eventi di rivoluzione politica e sociale e cioè di disordini, di violenze, di smarrimenti paurosi. Le rovine erano grandi dappertutto ed anche nella sua terra. Con una grande calma, senza parole forti o gesti teatrali, com’è proprio dei demagoghi o dei faciloni, Tommaso Reggio si mise all’opera per ricostruire, talvolta coi rottami che trovava sulla sua via, ed il mezzo principale fu quella sua legislazione che non lasciava indietro nessun male, nessun gruppo di persone, nessuna specie di convivenza sociale. Questo lato della sua vita non è stato ben messo in luce, mentre è veramente il più grande in un pastore di anime, in una persona di autorità. Certo i confini entro i quali si svolse la sua attività di legislatore non furono grandi; prima una diocesi ordinaria, poi l’archidiocesj di Genova, ma ciò non diminuisce il suo merito. Il colpo d’occhio da legislatore, l’energia, la prontezza dell’uomo di governo si sarebbero spinti più in là, se più in là fossero stati i termini del territorio affidato alle sue cure. Al suo primo entrare nella vita sociale, noi lo vediamo subito procedere con sicurezza consapevole ad agire in profondità, e con ampiezza di decisioni che superano i casi singoli per andare alla totalità, in quella sintesi che è rappresentata da ordinamenti, norme, legislazione. È difficile seguire l’uomo saggio in tutte le sue disposizioni, ci fermeremo ai punti più salienti ed ai momenti più importanti della sua opera. Non possiamo omettere tuttavia un cenno della sua condotta nella riforma della vita di seminario, dove egli fece opera di legislazione in miniatura dal punto di vista materiale, ma opera importante di vera legislazione, come importante è l’istituto sociale ed ecclesiastico di un seminario. Del resto anche la miniatura può essere opera di arte e grande arte. Triste era la condizione dei seminari al tempo di Tommaso Reggio, per lo spirito di sovversione generale, e difficile a ricondurre l’istituto alle sue origini. Tommaso Reggio nominato rettore del seminano di Chiavari non si indugiò in misure poliziesche di disciplina, ma fece un profondo lavoro di riforma nell’indirizzo, nelle norme scolastiche, nella pietà, nei trattenimenti accademici che destavano entusiasmo, emulazione. Le cose più disparate e le pratiche più differenti, che sembravano a sé stanti, erano invece dominate da un’unica ispirazione e le associazioni interne, i colloqui spirituali coi giovani, le varie forme di devozione, il culto mariano, gli stessi divertimenti si completavano. Degno di molta considerazione è il cenacolo di intellettualità e di spiritualità che egli seppe radunare poi nell’Abazia della Basilica di 5. Maria in Carignano, con l’intervento delle migliori intelligenze del clero e del laicato di Genova. Non vi era alcun regolamento, ma solo un filo interno, come una legge sottintesa che guidava le discussioni ed i propositi di quei buoni. Opera di più ampio respiro fu quella svolta da Tommaso Reggio nella costituzione della “Piccola Casa della Divina Provvidenza” per le Orfanelle fondata da Teresa Solari, pia ed intelligente donna. Tommaso Reggio ebbe il merito di comprendere quell’anima generosa, di difenderla, indirizzarla nella nobile fatica; fu lui anche che scrisse la regola, concretizzando nella formula scritta l’opera silenziosa della sua direzione ed assistenza alla Solari. Nel 1851 ebbe l’incarico dalle Figlie di Nostra Signora dell’Orto, fondate da 5. Antonio Maria Gianelli, di condurre a termine le Regole del loro Istituto che dal Fondatore erano state soltanto abbozzate. Mons. Reggio, con la dottrina ed esperienza di cui era ricco, riordinò e completò il testo che fu poi approvato dalla 5. Sede. Ma il suo spirito di ordinatore, di legislatore ebbe un campo più delicato e più vasto nel dovere pastorale delle due diocesi da lui rette. A Ventimiglia, dove fu mandato vescovo nel 1877 e dove restò per quindici anni, egli fece opera di restaurazione generale con la ripresa del seminario vicino a finire, con la fondazione di un convitto vescovile, con la “Unione di Preghiere per ottenere buoni sacerdoti”. Fatica grande di riordinamento sociale ed ecclesiastico furono le sue “Visite Pastorali” che implicavano disposizioni, decreti, indirizzi vari. Mons. Reggio sapeva che le più belle e buone opere si dissolvono nel niente, senza una vigilanza ed una guida costante, così egli istituì “La Congregazione della 5. Visita” chiamandovi gli ecclesiastici più degni e competenti per la realizzazione completa di quanto era stato disposto e di tutte le leggi ed i decreti emanati. Imprese più durature ancora, più importanti per la vita di una diocesi sono gli istituti di cultura ed i “sinodi diocesani”; i primi pongono le fondamenta di una profonda costruzione intellettuale, i secondi di una trasformazione morale e spirituale. I sinodi si possono considerare come vere assemblee legislative ed hanno avuto sempre importanza di primo ordine nella Chiesa. Mons. Reggio, in ordine alla cultura, fondò l’Accademia di 5. Tommaso che elevò la cultura filosofica e teologica del giovane clero, specialmente, e suscitò una generosa emulazione. I Sinodi poi che furono ben tre, tolsero abusi, crearono provvidenze necessarie, dettero ordine nuovo e completarono la struttura della legislazione diocesana, per ogni bisogno ed ogni caso. Ognuno sa che l’insegnamento della dottrina cristiana è quello che assicura la continuazione della vita religiosa in una parrocchia, però molto spesso un tale insegnamento languisce e si riduce a niente o a simulacro di insegnamento, per le difficoltà, inerenti a tale attività. Mons. Reggio risolve il grave problema con un’ altra opera di legislazione, cioè la “Congregazione della Dottrina Cristiana”, vero sodalizio di attività civile e religiosa, con un suo minuto regolamento ed un meccanismo quanto mai pratico di risultati sicun. Vennero altre istituzioni e fondazioni come l”‘Istituto 5. Marta” e “La Casa della Misericordia” per le quali egli divenne veramente padre degli orfani. La diocesi di Ventimiglia fu così messa in grado di affrontare tutte le difficoltà e le lotte della vita in quei tempi difficili. L’attività pastorale di Mons. Reggio a Genova fu sostanzialmente la stessa, ma più ampia, più difficile, com’è facile intuire. Anche qui sinodi, visite pastorali e decreti, iniziative di ogni genere. Sono da ricordarsi tuttavia la riforma delle circoscrizioni parrocchiali, l’Ufficio del Contenzioso Ecclesiastico, la Pontificia Facoltà Giuridica, istituzioni tutte che conferirono snellezza, forza, luce di pensiero alla vasta archidiocesi di Genova. Ma l’opera maggiore di Monsignor Reggio, e per la quale il suo nome e la sua benemerenza sono passati e resteranno nella Chiesa universale è la Congregazione delle Suore di 5. Marta. L’idea della fondazione gli fu suggerita appunto da quel suo talento di legislatore. Per una sua opera di apostolato, egli non trovò né soggetti, né istituti convenienti ed allora disse a se stesso: “Creerò io un istituto di Suore”. A Ventimiglia avvenne la fondazione ed egli stesso dette una formazione alle prime giovani che risposero al suo appello e ad una vocazione. E quale sia stata poi questa formazione mostrarono le prove dure che le Suore ebbero presto ad affrontare, estrema povertà e sacrifici inauditi, prove che avrebbero potuto distruggere un’opera meno solida. Il capolavoro di Mons. Reggio fu la regola delle Suore di 5. Marta, regola che fu prima vissuta, sperimentata, poi lentamente scritta, meditata e finalmente applicata, codificata ed ebbe infine la sanzione suprema della Chiesa. È bello vedere il modo con cui Mons. Reggio procedeva nella stesura della sua regola. Egli ne dava lettura alla Comunità, a mano a mano che elaborava gli articoli e sentiva con interesse le osservazioni delle suore: voleva anzi che parlassero con confidenza, senza alcuna riserva. Se le osservazioni erano giuste, le accoglieva, le inseriva nel testo: se non erano giuste, egli faceva vedere il lato debole dell’ osservazione fatta e poi soggiungeva: “Stavolta sbagliate voi e converrà lasciare come ho scritto”. Il tempo ha collaudato la fermezza delle costituzioni che anche oggi presentano una modernità, un’ attualità sorprendente. Per la riflessione personale e/o di gruppo C’è chi ha diviso gli uomini in quattro categorie: – in basso, coloro che vogliono diventare ricchi; – un po’ più in alto, coloro che vogliono diventare qualcosa; – molto più in alto, coloro che vogliono diventare qualcuno; – al sommo, gli apostoli, cioè coloro che vogliono servire la comunità umana piccola o grande che sia. – Attualmente dove ti collochi? – Quali persone poni al quarto livello? Se fare politica significa operare dentro la realtà, fare progetti in avanti, seguire la storia che muta per darle un senso… Se fare politica significa intervenire nei problemi, con una visione reale simultanea delle cose e con piena conoscenza degli uomini… Se fare politica significa accogliere ogni uomo senza stupirsi della sconcertante incoerenza di luci e di ombre, di incertezze e di compromissioni… Se fare politica significa spendersi perché la città dell’uomo diventi sempre più a misura d’uomo… Tommaso Reggio fu davvero un politico. Il carteggio tra lui e alcuni uomini politici del tempo dimostra come egli non fu solo una figura di spicco nella Chiesa, un giornalista di profonda cultura, ma anche un uomo attento, “presente” in quell’ora della storia in cui visse, che fu complessa per la Chiesa, la Società e l’intera Nazione. “La mia unica ambizione – egli dirà più volte – e dilatare il regno di Dio, e procurare alla sua infinita Maestà l’ossequio di tutte le intelligenze Fermamente convinto che “è un ‘utopia credere che si possano adempiere i doveri del proprio stato senza affaticarsi per la salvezza dell ‘uomo”, egli non si concesse riposo. Fu anzi infaticabile nel bene. Qual era la situazione storica che scorreva sotto gli occhi di Tommaso Reggio? Quale “clima” si respirava in Italia? Duravano ormai da anni le lotte e i dissidi ed era diventato lancinante il problema di coscienza dei cattolici che, come tali, incontravano ostacoli insormontabili a inserirsi nella vita della Nazione. Molte illusioni si erano fatte strada attraverso la cultura positivista e progressista, molte prevenzioni si erano formate attorno ai cattolici circa il loro valore civico. Dominava quasi ovunque 1’ anticlericalismo settario. E politicamente? Fatta l’Italia, bisognava fare gli Italiani. Il Nuovo Stato infatti doveva affrontare gravissimi problemi economici, sociali, legislativi, militari… I leaders politici avevano deciso di organizzare il territorio italiano, imponendo la legislazione anticlericale del Regno di Sardegna, lo Stato protagonista dell’unità d’Italia. Ma le scelte della classe dirigente scontentarono il popolo che non solo era escluso dalla partecipazione alla vita della nazione non avendo diritto di voto, ma si ritrovava anche svantaggiato dal nuovo sistema economico. Questo accentuò la grave frattura fra l’Italia legale e l’Italia reale. Tommaso Reggio era convinto che fosse davvero necessario sostenere la partecipazione dei cattolici alle votazioni e contemporaneamente dare vita a un partito cattolico. Una seria documentazione dimostra come negli anni subito dopo l’unità, egli si mosse per formare liste cattoliche, per creare interesse sulle pagine dei giornali, per promuovere sottoscrizioni, per alimentare l’opinione pubblica. Determinato a raggiungere questo obiettivo, nel 1865, egli non si risparmiò; tuttavia le fatiche, i viaggi e i contatti con uomini politici non bastarono. L’iniziativa fallì. I cattolici, infatti, avevano preferito non votare e i pochi eletti non erano passati al vaglio dei controlli parlamentari. Ma Tommaso Reggio, quando nel 1867 si svolgeranno nuovamente le votazioni, ebbe un’intuizione profetica e fece una proposta che anticipava di decenni il patto Gentiloni. Egli propose di non creare più liste cattoliche, ma di prendere accordi col partito di governo per collocare dei cristiani onesti e stimati nelle liste liberali: potevano così essere votati dai pochi cattolici che partecipavano alle elezioni e dai liberali stessi. Alla luce dei nuovi eventi egli andò maturando la convinzione che solo quando i cattolici fossero numerosi in Parlamento, sarebbe stato possibile creare un partito cattolico, capace di promuovere una legislazione basata sui valori cristi ami. Quali erano i rapporti tra Stato e Chiesa? Per unificare l’Italia il re Vittorio Emanuele Il aveva sottratto molte terre allo Stato Pontificio, aveva inoltre proclamato Roma capitale del regno contro il volere del Papa e della maggior parte dei cristiani che la ritenevano invece capitale del mondo cattolico. Come reazione Pio IX aveva scomunicato il Re d’Italia e contestava gli ideali di libertà politica perché, così come erano stati attuati, avevano danneggiato la Chiesa. Era evidente, anzi drammatico, lo stato d’animo di molti italiani, che si trovavano a decidere se essere buoni cattolici con il papa o impegnarsi politicamente per il bene di uno Stato che, per certi aspetti, si rivelava contro la Chiesa. I cattolici liberali avevano fatto propria la formula “cattolici col Papa, liberali con lo Statuto”. Tommaso Reggio, “uomo della conciliazione”, convinto che è più importante “costruire i ponti anziché tagliarli”, guardava alla Chiesa nel suo volto concreto, con la consapevolezza sofferta di chi sa che essa porta con sé anche le ferite dei suoi ritardi, ma con la incrollabile certezza di chi può dire “là dove è il Papa ivi è la Chiesa”: il suo motto sarà, quindi, “cattolici e liberali col Papa”. Senza intransigenti polemiche, con la fermezza nutrita di mansuetudine che gli era propria, egli dirà: “La parola del Papa è per me la parola di Dio stesso, a questa parola tenderò sempre l’orecchio, assoggetterò l’intelletto e la volontà e, se sarà necessario anche la vita”. Egli manterrà un dialogo aperto con tutti anche con i nemici che sapevano riconoscere nei suoi tratti e nelle sue parole l’autorevolezza dell’uomo preparato, lucido conoscitore dei fatti, innamorato di Dio e fedele alla Chiesa. Con una lungimiranza, che il tempo ha poi svelato in tutta la sua profondità, egli scriverà: “Il potere temporale della Chiesa è inversamente proporzionale al potere spirituale”. Intuisce, infatti, che quanto più la Chiesa sarà libera dal peso del possesso temporale tanto più diventerà guida luminosa per gli uomini tutti. Ma i tempi sono duri e travagliatissimi. Si impone una scelta: chiudere il giornale. Quando il Papa nel 1874 con il “Non expedit” dirà ai cattolici che “non è opportuno” partecipare alla vita politica.., egli sceglierà il silenzio. Il suo, però, non fu mai un silenzio rinunciatario o polemico. Egli sapeva che “le parole dette a caso, le allusioni inconsiderate, lo stesso tono di voce, persino i gesti, lasciano sugli uomini impressioni tali che non possiamo neppure immaginare Vescovo fedele e retto scrisse alla Santa Sede esponendo con chiarezza il suo pensiero circa il ruolo che i cristiani avrebbero dovuto avere all’interno della società, nella quale dovevano essere “sale e lievito”. Genova intanto rifiorì sotto la sua guida; l’attività e la lungimiranza del vescovo, infatti, arrivarono ovunque. Di Tommaso Reggio si disse: “Il clima di Genova fu tutto soffuso dalla sua sapienza, dalla sua laboriosità in ogni campo, ma anche il suo autorevole sguardo si spinse ripetutamente più in là, seguendo gli eventi e non esitando a dire il suo parere, a pronunciare i suoi giudizi sempre aderenti alla verità”. La città riprese anche il suo splendore artistico. I grandi restauri del Duomo di 5. Lorenzo, per esempio, furono sollecitati da lui e sostenuti dal Comune che aderi e finanziò molte iniziative del vescovo. Fu Tommaso Reggio che il giorno 8 agosto 1900 in Roma, nel Pantheon, con l’approvazione della 5. Sede, accolse la salma del Re Umberto I di Savoia, la benedisse e celebrò il Solenne Pontificale, accompagnato dal canto di cento esecutori diretto dal maestro Mascagni. Vescovo di Genova egli tenne però aperto cuore e sguardo alla realtà dell’intera nazione, e nutri la sua frenetica attività con uno spirito di orazione che è tipico degli uomini grandi. Passava ore della notte in preghiera e… l’alba lo trovava quasi sempre in ginocchio. Come è stato detto, è vero che “gli uomini equilibrati e superiori possono dare l’impressione di andare qualche passo indietro, o qualche passo avanti, però, quando i tempi sono passati e si vede in prospettiva, tutto diventa chiaro”. Per la riflessione personale e/o di gruppo Quali sono le qualità morali che secondo te sono indispensabili in un politico? Sei convinto che il silenzio dei “grandi” spesso costruisce la Chiesa più che i “grandi discorsi”? Che cosa è il patto Gentiloni? Un patto secondo il quale nel 1911 i cattolici avrebbero votato quei liberali che si fossero impegnati a sostenere determinate richieste. Per la Chiesa, poi, si poneva il problema della partecipazione alle elezioni di grandi masse di cattolici, soprattutto dei contadini, che dovevano in qualche modo essere indirizzati e guidati nelle loro scelte. Da queste preoccupazioni nacque l’idea di un accordo, che prese il nome di patto Gentiloni (dal nome del dirigente cattolico che lo formulò) fra organizzazioni elettorali cattoliche e quei candidati laici non-socialisti, che avessero desiderato il voto dei cattolici. In altre parole, i cattolici avrebbero votato per quei liberali che si fossero impegnati a sostenere le richieste dei cattolici: la difesa della libertà della scuola, dell’istruzione religiosa, l’opposizione al divorzio, le riforme tributaria e giudiziaria, il riconoscimento delle organizzazioni economiche e sociali cattoliche. Secondo alcuni dati, non facilmente controllabili, ben 228 deputati liberali risultarono eletti con i voti cattolici.
La scuola come lugo di quotidiana accoglienza
Il tratto della “quotidianità” connota la pedagogia dell’accoglienza quale noi la intendiamo.
Accogliere, infatti, è il tratto permanente del nostro agire educativo, l’opzione di fondo della nostra progettualità pedagogica e didattica. Questa scelta deve trovare concreta espressione in una scuola che sia per tutti “casa ospitale” in cui ciascuno, senza discriminazioni, possa sentirsi accettato così com’è e invitato a partecipare ad una relazione educativa fatta di amore competente, capace di motivarlo, di coinvolgerlo e di proporgli ciò che meglio risponde ai suoi bisogni di formazione.
A questo fine concorrono gli atteggiamenti e i gesti educativi che intendiamo privilegiare ogni giorno:
andare incontro agli alunni con maggiori difficoltà o con particolari esigenze formative, facendo sempre il primo passo;
prestare attenzione costante all’emergere di disagi, vecchi e nuovi, per cercare di intuirne le problematiche latenti,
mantenere vivo il dialogo con gli alunni e tra gli alunni, promuovendo autostima e rispetto reciproco;
offrire sostegno preferenziale e amorevole soprattutto nei casi di deprivazione culturale, morale e materiale;
cogliere ogni valida occasione per costruire un dialogo aperto e un rapporto di fiducia nella verità;
sforzarsi di conoscere la cultura ed il linguaggio di coloro a cui la nostra azione educativa si rivolge, per avanzare proposte adeguate di valori e di progetti di formazione umana e cristiana, nel contesto di una vera ed efficace comunicazione interpersonale.
L’impegno che assumiamo, pertanto, è quello di fare della scuola un luogo di ospitalità educativo -culturale che valorizzi le diversità per costruire l’armonia. Nella comunità scolastica l’educazione è compito partecipato e condiviso in cui tutti sono corresponsabili. Occorrono per questo la continua formazione dei docenti e l’offerta di opportunità formative ricorrenti per i genitori, al fine di costruire un crescente rapporto di fiducia e di collaborazione fra scuola e famiglia nella consuetudine di un incontro che faciliti la comprensione delle esigenze e delle ragioni educative dell’una e dell’altra.
La comunità scolastica vuol essere solidale nel perseguimento di alcuni fondamentali obiettivi:
il rispetto della persona nella sua integralità; – il rispetto delle cose come beni di fruizione comune;
la ricerca della comunicazione interpersonale come gesto di accoglienza e di reciproca fiducia;
l’utilizzazione del gruppo come contesto in cui sviluppare la socialità e la corresponsabilità;
la valorizzazione del silenzio e dell’ascolto come atteggiamento di disponibilità verso l’altro;
l’esercizio della pazienza come rispetto della maturazione personale dell’altro;
la scelta dell’umiltà come consapevolezza dei propri limiti e come aiuto ad adempiere i propri doveri;
la promozione della libertà come realizzazione di sè nella risposta alla propria autentica vocazione umana;
l’accettazione e la stima delle diversità come potenziali di arricchimento, di confronto, di apprendimento e di crescita.
Una valida organizzazione del lavoro, un ambiente ospitale e sereno, una strutturazione funzionale degli spazi che agevoli gli incontri e gli scambi, diventano condizioni facilitanti la vita di relazione nella scuola e, come tali, sono da noi accortamente ricercate e migliorate di continuo.